L’articolo ripercorre le vicende di due vocaboli, evanido ed evanito, che i codicologi, gli archivisti e gli editori di manoscritti usano con il significato di ‘sbiadito, svanito’ per riferirsi a parole o a caratteri non più facilmente leggibili nei documenti antichi. Se la preistoria è da ricercarsi in certi antecedenti latini (e volgari), che vengono esaminati con ricchezza di particolari, il valore con il quale frequentemente le due parole sono attestate oggi nel lessico di quegli specialisti si forma nel tardo Settecento nell’ambiente degli archivisti toscani, che lavorarono sulla grande mole dei documenti raccolti a seguito del motuproprio di Pietro Leopoldo, che nel 1778 creò un «pubblico Archivio Diplomatico». Evanido viene registrato per la prima volta dalla lessicografia nella quinta impressione del Vocabolario della Crusca (vol. V, 1886), quando – guarda caso – erano arciconsolo e segretario dell’Accademia della Crusca due grandi archivisti, rispettivamente, Gaetano Milanesi e Cesare Guasti. Nello stesso periodo si diffonde anche evanito, che s’accompagna spesso non tanto alle altre forme del verbo evanire, quanto agli astratti evanimento, evanitura, evanizione: parole tutte non rappresentate dalla lessicografia più recente, come anche di solito evanido (a cui però il Battaglia dedica una voce, e pure ad evanire). Fa eccezione anche il Dizionario d’ortografia e pronuncia della R.A.I., il D.O.P., che nella edizione del 1981 tratta di evanido, che preferisce ad evanito, e in quella del 2010 si allarga anche ad evanire ed evanisco. Per la sua attitudine a servire sia da participio sia da aggettivo e per il conforto che gli viene dalle altre parole della famiglia come evanire, evanimento, evanitura, evanizione, evanito sembra destinato a prevalere nell’uso sul più tecnico evanido.