L’articolo mira a produrre una descrizione della grafia, della fonetica, dei fenomeni generali e della morfologia della lingua pistoiese letteraria primo- e medio-trecentesca così come emerge dal codice Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2268 (= R2), databile intorno alla metà del secolo e latore del volgarizzamento di Mazzeo Bellebuoni dell’Historia destructionis Troiae (a. 1333). Lo spoglio, in attesa dell’edizione integrale del manoscritto, è condotto sopra un campione significativo del testimone, pari a un terzo circa della sua lunghezza totale. Ciò che emerge da un’analisi linguistica pur parziale del cosiddetto Troiano Riccardiano è che il pistoiese del pieno XIV secolo ha perduto molti dei suoi tratti più caratteristici e distintivi, scolorendo nella varietà fiorentina: dunque, nel giro di due generazioni (il volgarizzamento di ser Soffredi del Grazia, il più antico monumento artistico del volgare di Pistoia, rimonta al 1275 ed è tràdito da un codice di soli tre anni posteriore copiato da Lanfranco di ser Jacopo del Bene, il ms. Forteguerriano A.53), l’azione del dominio politico di Firenze ha perturbato il vernacolo pistoiese livellando numerosi dei suoi aspetti grammaticali più arcaici, ancora ben rappresentati da Soffredi, dal canzoniere Palatino e dalle antiche scritture di carattere pratico; altri tratti idiomatici, invece, permangono in R2 e ne confortano la collocazione geolinguistica a Pistoia: di qui l’opportunità d’eleggere questo testimone, omologo per lingua all’originale, a fondamento d’una prima edizione critica dell’opera del Bellebuoni.