Il contributo prende in esame le varie strategie testuali impiegate nelle loro lettere da scriventi emigrati in epoca postunitaria per segnalare la scansione dei contenuti. Lo studio è condotto su un corpus di settanta missive (metà ottocentesche e metà novecentesche), all’interno delle quali sono state indagate le occorrenze di dislocazioni e temi sospesi, preposizioni e locuzioni preposizionali, anafore e catafore intertestuali, connettivi demarcativi, formule di chiusura e formule paraepistolari. L’esame ha rilevato che gli emigrati prestano una discreta cura all’organizzazione dei contenuti. La deduzione più notevole offerta dai dati raccolti è che, in ambito di articolazione testuale, il repertorio degli emigrati sembra muoversi su un doppio binario. Da una parte, si rintraccia un’elevata ricorrenza di strutture diafasicamente basse e censurate in scriventi in Italia più che in quelli espatriati (dislocazione a destra, connettivi demarcativi); dall’altra, una discreta frequenza di strutture come le locuzioni preposizionali che mostrano il tentativo di rendere i loro testi più diamesicamente adeguati, e che derivano probabilmente agli emigrati dalla pratica con uno dei pochi input in italiano che continuavano a frequentare anche fuori d’Italia: la lingua della burocrazia.