L’Algebra (1a ed. 1572) del bolognese Rafael Bombelli è un trattato di riconosciuta importanza nella storia della matematica e presenta motivi di interesse anche linguistico, dato che l’autore, rifacendosi esplicitamente a una fonte greca ignota prima dell’età rinascimentale (Diofanto di Alessandria), introduce termini nuovi e inaugura un precoce tentativo di rappresentazione simbolica di incognite, potenze e radici. In alcune note metalinguistiche si intravede in Bombelli una certa sensibilità per la corretta espressione dei concetti matematici, nonché la tendenza a superare la tradizione araba tramite il recupero classicistico; la rivalutazione del contributo greco e il ridimensionamento della mediazione araba, proprio a partire da istanze umanistiche, ha avuto lungo corso nella ricognizione storica fino a determinare per almeno tre secoli l’oblio del capolavoro di Fibonacci. Nell’articolo ci si sofferma anche sulla parola cosa (il tecnicismo che denota l'incognita nei testi d’abaco dal Tre al Cinquecento, calco traduzione dall’arabo, passato in italiano per il tramite res del Liber Abaci): si tratta di un particolare caso di italianismo della matematica, documentato in alcuni trattati in lingua francese, tedesca e inglese. La terminologia del testo di Bombelli, riedito nel 1966 sulla base della princeps, è analizzata anche attraverso qualche confronto con una precedente redazione manoscritta, testimoniata da due codici conservati presso l’Archiginnasio e la Biblioteca Universitaria di Bologna.