Il concetto di “errore” in fatto di lingua, alimentato dall’insegnamento scolastico, da grammatiche e dizionari, sembra essere un’ossessione per gli italiani, che dinanzi a due alternative non riescono neppure a sospettare che spesso esse non si escludono e che è possibile scegliere secondo le circostanze la forma più adeguata.
Il linguaggio di papa Francesco, ispanofono argentino, è quindi un’occasione ghiotta, per i cosiddetti “grammarnazi” e non solo, per denunciare, quando parla italiano, questo o quell’errore a livello fonetico, morfologico, sintattico e lessicale.
Il volume, composto da una ricca serie di saggi, prova a dimostrare che questi “errori” sono per lo più solo presunti. Innanzi tutto, il linguaggio di Francesco è sempre concettualmente chiaro, privo di ambiguità (come spesso non è quello degli stessi italiani) e molti suoi usi (peraltro comuni agli stessi nativi italofoni) sono giudicati scorretti solo in una prospettiva neo-puristica. Il testo è quindi l’occasione per un’analisi scientifica, e contrastiva con lo spagnolo, delle strutture linguistiche dell’italiano verso una maggiore consapevolezza e una più efficace competenza dell’italiano.